Alle volte vengono davvero delle strane idee. Lavorare per riposarsi! E non che non si faccia niente durante l’anno ma….
Insomma prendemmo la decisione che quest’anno le vacanze le avremmo trascorse in un campo di lavoro.
Detta così suona male ma dove è possibile incontrare gente da tutto il mondo, sperimentarne, in qualche modo, la cultura e divertirsi facendo quello che mai avresti pensato di fare? Un campo di lavoro per l’appunto.
Beh, se volessimo essere proprio onesti dovremmo dire di lavoro e mangiare. Eh si perché, come scoprimmo presto, il mangiare era un’attività fondamentale del campo. Per prima cosa si organizzarono dei turni in cucina.
Ogni giorno due di noi sarebbero stati assegnati a cucinare per tutti, dalla colazione alla cena, spesa inclusa. A me toccò quasi subito rompere il ghiaccio. Dopo un paio di giorni ero di turno e per cena decisi di fare la cosa più italiana che c’è, la pasta. Il problema è che cucinare per per una quindicina di persone non è esattamente la stessa cosa di cucinare per un paio. Butti la pasta e l’acqua si raffredda e non bolle più e il sugo, nel frattempo, si è talmente ristretto da assomigliare più a colla per parati che a qualcosa che si mangi.
La pasta francese, poi, passa nel giro di 20 secondi dall’essere completamente cruda all’essere irrimediabilmente scotta. Sono ormai una zuppa di sudore e sto già pensando a qualche scusa quando arriva Annamaria.
Da subito ordini precisi e la rissa scatta in un momento ma alla fine la pasta è salva. Non un gran che ma quando il giorno dopo vedo Benoit, uno dei francesi, condire un piatto di pasta stracotta con maionese, ketchup e prosciutto cotto a fette capisco che mi sono salvato alla grande. La fame da lavoro avrebbe fatto il resto.
Qualche giorno dopo è il turno di Lisa, dall’Ucraina. Prepara uno zuppone ricco e saporito, talmente saporito che ne faccio il bis entusiasta.
E’ così che comincio a chiedergli la ricetta e scopro, con terrore, che ha usato, fra l’altro, la famigerata barbabietola o rapa viola contro la quale sono stato più volte tentato di avviare una raccolta di firme per promuoverne l’estinzione. Sono spacciato ma è troppo tardi. Ne ho mangiato già due piatti e mi sono da poco proposto per il terzo. E che dire di Enseul, dalla Core del Sud. Non lava i piatti, li benedice aspergendoli velocemente con un filo d’acqua e piazzando a ripetizione nuovi record di velocità.
Ma torniamo al sodo e cioè al lavoro. Il compito che ci attendeva era gravoso, specialmente per quello che sarebbe stata la nostra guida sul campo, Tierry, un quasi lupo di mare a metà strada tra capitan findus e Gino Strada.
Riuscire a fare in modo che un manipolo di ragazzi, pochi dei quali erano in grado di distinguere un martello da una sega elettrica, ricostruisse, ritinteggiasse e decorasse un gazebo in tubolari di ferro coperto da stuoie. Io presi la questione di petto e mi diedi a scartavetrare la vecchia vernice con lo stesso entusiasmo con il quale avrei affrontato un piatto di gnocchi fumanti. La mia natura borghese, purtroppo, mi si manifestò sotto forma di due enormi vesciche alle mani in meno di mezzora.
L’esperienza nel suo complesso, però, fu davvero esaltante. Tra una vescica e un po di mal di schiena il manipolo di ragazzi riuscì a finire l’opera.
Dopo due settimane portammo a termine quello che due operai avrebbero fatto in due giorni ma, perbacco, il gazebo era la, lucido quasi brillante con le sue nuove stuoie e, addirittura, un piccolo muretto di contenimento in legno con annessa vasiera. L’ultimo giorno, a lavori ultimati, ci fu pure l’inaugurazione ufficiale con tanto di sindaco e assessori. Data l’entità del miracolo mancava solo il prete ma la Francia non è l’Italia.
Ovviamente avevamo anche del tempo libero e la spiaggia, quasi tutta libera, era a soli 100 metri. Sarebbe stato già bello così. Il team leader, un vulcanico ragazzino tedesco di nome Benjamin, aveva, però, delle sorprese per noi. Nessuno se l’aspettava e quindi fu tutto ancora più bello. Dopo un paio di giorni ci organizzò un’escursione in kajak, ripetuta altre due volte, poi gita di un giorno su di un’isola riserva naturale, pomeriggio in un parco divertimenti ad arrampicarsi sugli alberi, escursione notturna in un paese nelle vicinanze e chi più ne ha più ne metta.
Il tutto inframezzato da bagni di mezzanotte, partite a bocce, incontri ravvicinati di vario tipo e il remake, a biliardino, della mitica partita Italia – Germania (purtroppo, questa volta, con sconfitta anche se onorevole dell’Italia da me impunemente rappresentata). Insomma arrivammo quasi ad augurarci che non ci fossero altre sorprese e ci lasciassero ad un po di sano relax sulla vicinissima spiaggia.
Fu così che il tempo passo in un batter di ciglia. Sembrava ieri che eravamo arrivati ed era già tempo di ripartire. Rimane però indelebile il ricordo di una esperienza straordinaria e una promessa. L’anno prossimo ne proveremo un altro!
Andrea Maccarone