Nel 2008 ho realizzato un workcamp a Rabat (Marocco) di due settimane organizzato da CSM ( Chantiers Sociaux Marocains).
Il progetto prevedeva la ricostruzione di una scuola, i lavori venivano eseguiti al mattino, seguendo le direttive dell’organizzazione, lavoravo con altri volontari, ma spesso si univano anche ragazzi del posto creando così una forte sinergia.
La ricostruzione era ciclica, ovvero, ogni due settimane c’era un ricambio di volontari. Partecipare ad un workcamp non è come dare il proprio contributo ad un’asta di beneficenza o prendere parola ad un convegno discutendo di problemi sociali, è tutt’altro, ti da la sensazione di fornire CONCRETAMENTE il tuo aiuto in maniera efficace.
Il pomeriggio era dedicato al riposo, ma la maggior parte delle volte si trasformava in momento di aggregazione, si condividevano le proprie esperienze e in questo clima arcobaleno, fatto di volontari provenienti da diversi Paesi e popolazione autoctona, si instauravano dei veri rapporti di amicizia, ad esempio, mantengo ancora vivo il ricordo di un’antropologa olandese e un’archeologa australiana.
Si parlava prettamente in inglese, ma alcune volte la comunicazione non verbale la faceva da padrona, perché le emozioni, in questi casi, prendevano il sopravvento sui lavori faticosi e stancanti.
Inoltre ho anche avuto modo di realizzare delle escursioni molto singolari, toccando con mano la cultura marocchina, alloggiando in casa di nativi beneficiando della loro ospitalità.
A distanza di tre anni avrei il desiderio di ritornare in quel posto per vedere ricostruita quella scuola che oggi ha modo di ospitare giovani che hanno voglia di costruire il loro futuro.
Ma alla fine di quest’esperienza penso che un posto vale l’altro, quello che realmente conta è il clima che si respira realizzando un workcamp…e sono sicuro che lascerà un segno indelebile!
Sirio